
Il piano per la Grecia? Non risolve il problema
prof. Angelo Baglioni per lavoce.info
Tra i provvedimenti che il parlamento greco ha dovuto approvare in tutta fretta, spicca per miopia l’aumento dell’Iva. I consumi si ridurranno ancora, insieme al Pil. E insieme agli altri provvedimenti porta a una triste conclusione: anche il terzo piano di aiuti alla Grecia non sarà risolutivo.
Le condizioni del terzo piano di aiuti
Alla fine, Alexis Tsipras ha dovuto piegare la testa e accettare le dure condizioni imposte dai partner europei, dalla Germania in particolare. In cambio, ha ottenuto la disponibilità dell’Europa a erogare un terzo piano di aiuti, che dovrebbe coprire le necessità finanziarie di Atene per i prossimi tre anni. La ristrutturazione del debito è invece rimandata, sebbene anche il Fondo monetario internazionale insista perché si faccia subito. E intanto la Troika è ritornata ad Atene.
Tra i provvedimenti che il parlamento greco ha dovuto approvare in tutta fretta, spicca per miopia l’aumento dell’Iva. In particolare, quella su molti generi alimentari e sui ristoranti è cresciuta di ben dieci punti, passando dal 13 al 23 per cento. Misure come questa non aiutano l’economia greca, anzi non fanno altro che peggiorare una recessione pesante, in atto da cinque anni. I consumi si ridurranno ulteriormente e, con essi, il reddito nazionale (Pil). La Grecia ha ben poche speranze di compensare la riduzione dei consumi interni con le esportazioni, visto che non è un paese industriale. L’unico settore che “esporta” è il turismo, ma l’aumento dell’Iva sui ristoranti non lo aiuterà di certo. Ma allora perché è stato fatto? Perché è prevalsa, in parte, la vecchia logica della “austerità”: aumentare le tasse o ridurre la spesa pubblica, per fare cassa e far scendere il disavanzo pubblico. Questa logica non ha portato alcun buon risultato, ma l’Europa non riesce a liberarsene.
Un altro provvedimento, quello dell’aumento dell’età pensionabile, che viene portata a 67 anni, è più condivisibile. Contribuisce a rendere più sostenibile nel tempo il sistema pensionistico, cioè a garantire un equilibrio tra entrate e uscite del fondo pensioni. Inoltre, allinea la Grecia agli altri paesi europei, e quindi rende meno indigesto ai loro cittadini il costo degli aiuti finanziari al governo greco. Il cittadino tedesco non potrà più dire: perché devo aiutare un cittadino greco, cha va in pensione cinque o dieci anni prima di me?
Come si salvano le banche
Un provvedimento poco noto, ma che riguarda anche noi italiani, è il recepimento della direttiva europea sui salvataggi bancari. Impone che, nel caso di interventi pubblici per sostenere una banca in crisi, i creditori sostengano alcuni costi. Gli unici esentati sono i depositanti, per un importo fino a 100mila euro, che è garantito dalla assicurazione dei depositi. Tutti gli altri devono contribuire alla ristrutturazione di una banca in crisi, per un importo complessivo pari ad almeno l’8 per cento delle passività totali dell’istituto. È una condizione affinché quella banca possa ricevere aiuti pubblici, sia dal governo nazionale sia dalle istituzioni europee. È nota come bail-in: una parola che prima o poi entrerà nel nostro vocabolario, come lo spread. Anche noi abbiamo appena adottato la direttiva, ma possiamo ritenere che i salvataggi bancari non ci riguardino (almeno per ora). Per i greci, invece, si tratta di attualità. Degli oltre 80 miliardi del terzo pacchetto di aiuti, ben 25 sono destinati a ricostituire il capitale delle maggiori banche greche, prostrate dalla crisi. Se non si troverà qualche scappatoia nelle pieghe delle complesse regole europee, i cittadini greci potrebbero essere i primi in Europa a sperimentare i dolori del bail-in.
I debiti verso Fmi e Bce
E gli altri soldi del piano di aiuti europeo dove andranno? Essenzialmente sono destinati a restituire i debiti della Grecia verso il Fondo monetario, la Banca centrale europea e, in parte minore, il mercato finanziario. Senza entrare nel balletto delle cifre, che potrebbe fare male sotto il sole di agosto, si può dire che la maggior parte dei debiti della Grecia nei prossimi tre anni sono verso le due istituzioni internazionali. I titoli del debito pubblico ancora sul mercato sono poca cosa. I debiti verso i partner europei sono invece già a lunga scadenza: nulla è dovuto prima del 2022. Il problema del taglio del debito greco esiste, visto che il rapporto debito/Pil viaggia verso il 180 per cento e non dà segni di volersi ridurre, ma non è un problema immediato. Quello che pone una pressione enorme sulla Grecia, e ha pesato nei giorni di trattative frenetiche, è il debito verso l’Fmi e la Bce. L’atteggiamento dell’Fmi, che vuole il pagamento immediato dei suoi crediti mentre chiede ai paesi europei di rinviare o rinunciare ai loro, lascia un po’ di stucco. Più delicata è la posizione della Bce, che sta tenendo artificialmente in vita le banche greche prestando loro una montagna di soldi: sarebbe difficile continuare a farlo se fosse costretta ad accettare il mancato rimborso dei titoli pubblici greci, che detiene e che accetta come garanzia a fronte dei prestiti che fa alle banche greche. Da tutto ciò si trae una triste conclusione. Anche il terzo piano di aiuti alla Grecia non sarà risolutivo. Servirà allo Stato greco per sopravvivere, dal punto di vista finanziario, per i prossimi tre anni, evitandogli l’insolvenza. Servirà anche a tenere a galla le banche greche, evitando il collasso del sistema finanziario del paese. Come quelli precedenti, è un piano volto a risolvere l’emergenza finanziaria, non a favorire la crescita dell’economia e, dunque, la sostenibilità del debito greco nel lungo periodo (con l’eccezione della riforma delle pensioni). Fra tre anni saremo qui a parlare di un quarto pacchetto di assistenza finanziaria alla Grecia, che servirà a restituire i suoi debiti, non a risolvere i suoi problemi di fondo.